La coltivazione del grano nell'agro ericino
Aratura
La terra veniva arata con l’arato trainato da buoi, tracciando i solchi uno accanto all’altro.
La prima aratura iniziava ad ottobre, veniva chiamata “ciacciare” si eseguiva con l’arato a “chiavu” o a “dui” trainato dai “parigghia” (una coppia di animali). La seconda aratura avveniva a novembre ed era chiamata “rifunniri”, poiché l’arato andava più in profondità.
Semina
SEMINA “a spagghiu” o “a pruinu”
La semina si faceva in due modi: “ siminaria spaghiu” o "a pruinu" con l’utilizzo della “coffa”, oppure “siminari a surcu” (nel solco), in cui veniva utilizzato “ ‘u mutu”.
Dai racconti dei nonni, il primo tipo di semina era più sbrigativo ed era maggiormente utilizzato.
La fase di semina durava parecchi giorni , una coppia di muli riusciva a coprire un “tumulo” circa di terreno quindi il periodo si protraeva per diversi giorni.
Una volta preparato il terreno, veniva suddiviso in strisce dalla larghezza di 5/6 metri, chiamate “proce”, in modo che il seminatore avesse un riferimento nello spargere i semi.
Si seminava con la “coffa” a tracolla, con dentro i chicchi di frumento. La coffa era una cesta in foglie di palma nana intrecciate,
(curini di giummarra)detta “trizza”, ovvero treccia.
La semina si faceva in due modi: “ siminaria spaghiu” o "a pruinu" con l’utilizzo della “coffa”, oppure “siminari a surcu” (nel solco), in cui veniva utilizzato “ ‘u mutu”.
Dai racconti dei nonni, il primo tipo di semina era più sbrigativo ed era maggiormente utilizzato.
La fase di semina durava parecchi giorni , una coppia di muli riusciva a coprire un “tumulo” circa di terreno quindi il periodo si protraeva per diversi giorni.
Una volta preparato il terreno, veniva suddiviso in strisce dalla larghezza di 5/6 metri, chiamate “proce”, in modo che il seminatore avesse un riferimento nello spargere i semi.
Si seminava con la “coffa” a tracolla, con dentro i chicchi di frumento. La coffa era una cesta in foglie di palma nana intrecciate,
(curini di giummarra)detta “trizza”, ovvero treccia.
Procedendo lentamente, il seminatore spargeva un pugno di grano alla sua destra e uno a sinistra del terreno appena arato, facendo in modo che rimanesse all’interno delle proce. Con lo stesso aratro, ripassando s’interravano i chicchi di grano. Inoltre un altro contadino stuffuniava, cioè con la zappa (‘u zappuni) copriva quei semi rimasti scoperti ed estirpando qualche erbaccia rimasta attaccata al terreno.
Per liberare la zappa dalla terra che vi si attaccava, veniva usata la “rasula”, una piccola paletta di ferro che il contadino portava legata al cinto con una rudimentale imbracatura.
Per liberare la zappa dalla terra che vi si attaccava, veniva usata la “rasula”, una piccola paletta di ferro che il contadino portava legata al cinto con una rudimentale imbracatura.
LA SEMINA “a surcu”
Nella semina a “surcu” l’aratro trainato da una coppia di animali, veniva gestito da un contadino esperto, seguito da un’altra persona che utilizzava “ ’u mutu”, una sorta d’ imbuto dalla lunga cannula che serviva per incanalare i chicchi dentro i solchi, evitando così di disperderli inutilmente. Il vomere dell’aratro veniva ripulito dalla terra fangosa che vi si attaccava, con la “varvuscia”, un attrezzo formato da un’asta in legno di frassino con ad un’estremità un raschietto a forma di paletta e all’altra estremità una cordicella che serviva da frustino per incitare le bestie a procedere più velocemente.
Prima della semina, il grano veniva trattato con “pietra silestra” (solfato di rame idrato) che diluito con acqua, serviva da antiparassitario naturale contro “ ‘a mascaredda” (carbonio del grano) e dalla “carie”. Quest’operazione di concia avveniva la sera prima e solitamente si utilizzava la stalla del mulo per la sua base ben salda. Le varietà di grano più utilizzate per la semina erano “u marzuddu” (marzuolo) o “timilia”, e la “russìa” che mostravano una notevole plasticità per il nostro ambiente climatico.
La diserbatura ('a zappuliatina)
Dopo 15-20 giorni dalla semina il frumento germogliava e man mano che cresceva il campo (siminatu) si doveva “zappuliari”, cioè si toglievano, con una piccola zappa (zappudda), le erbe estranee che potevano rallentare la crescita delle piccole piante di grano. Un altro metodo per estirpare le erbacce era detto “scurriri”. Il seminato si “scurria” cioè si toglievano le erbe con le mani quando il grano era già spicatu (spigato). Spesso questo lavoro era compiuto delle donne.
La mietitura
S’iniziava a Giugno, infatti un detto ancora in uso afferma: “Giugnu ‘a fauci ‘n pugnu” fauci che sono lo strumento di raccolta per il grano. Per la mietitura l ‘attre.
Per la mietitura l’attrezzo utilizato era la flace (‘a fauci). La mietitura iniziava all’alba in modo da trovare il grano più umido quindi più malleabile per la presenza della rugiada mattutina. Verso le ore 9.00 si consumava “ ‘a mustazzola” ovvero la colazione fatta con “miliddi” biscotto duro imbevuto nel vino.
Per la mietitura l’attrezzo utilizato era la flace (‘a fauci). La mietitura iniziava all’alba in modo da trovare il grano più umido quindi più malleabile per la presenza della rugiada mattutina. Verso le ore 9.00 si consumava “ ‘a mustazzola” ovvero la colazione fatta con “miliddi” biscotto duro imbevuto nel vino.
Solitamente si mieteva in coppia e in squadra che era formata da 4 coppie, quindi 8 mietitori e un “liaturi”. Quest’ultimo fasciava i “regni” cioè i fasci di spighe realizzati dai mietitori, usando i “liama”, corde rudimentali realizzate con foglie di zabbara (agave) o disa (ampelodesma). L’attrezzo più usato per “’n fasciari” cioè fasciare era “ancinu” ovvero un grosso uncino in ferro.
Nel gruppo dei mietitori veniva individuato “l’acquarolu”, solitamente il più giovane, cioè colui che provvedeva a distribuire l’acqua da bere ai mietitori, servita con “bummulu” (recipiente in terra cotta simile ad un anfora)
“Sia lodatu e ringraziatu lu Grandissimu e Divinissimu Sacramentu"
Prima di iniziare a mietere ci si rivolgeva sempre al Signore, invocandolo e ringraziandolo con semplici preghiere:
“SIA LODATU E RINGRAZIATU LU GRANDISSIMU E DIVINISSIMU SACRAMENTU!”
“SIA LODATU E RINGRAZIATU LU GRANDISSIMU E DIVINISSIMU SACRAMENTU!”
Il rivolgersi al Signore per i contadini era un gesto dovuto, come a volerlo ringraziare per i duri giorni di lavoro cui seguiva una meritata ricompensa: il grano per sfamare la famiglia che a volte però era insufficiente.
I contadini sapevano che il volere di Dio era fondamentale e dopo aver terminato i lavori gridavano:
I contadini sapevano che il volere di Dio era fondamentale e dopo aver terminato i lavori gridavano:
“Sia lodatu!”
Flora Costa, Antonino Vario, Alessia Martinez, Maya Shumlyansky - Classe 2^ A